Leggere la realtà per capire insieme a quale missione siamo chiamati – Giacomo Costa SJ

Due criteri ispiratori

Giocarsi nelle relazioni per annunciare il vangelo

Quando ero dentro a tanti rinnovamenti pastorali, cambiamenti di strutture, di metodi e configurazioni concrete, li guardavo con più interesse. Tutto questo va molto bene, ma non servirà a niente se non ci si gioca nelle relazioni personali. Anzi questo mi dà conforto perché mi dice che comunque sia strutturato il ministero, anche se lo è in maniera imperfetta, anche per motivi non dipendenti da noi, è sempre occasione privilegiata di numerosissime relazioni personali che posso trasformare in proclamazione del regno di Dio. Quindi, in questo senso è una vita meravigliosa perché qualunque siano le condizioni esterne, mi dà sempre occasione di relazioni reali con la gente in cui io posso comportarmi come impiegato, come funzionario, come persona distaccata, oppure come persona che ha a cuore il regno di Dio e che quindi lo comunica, anche senza bisogno di predicazioni, ma attraverso il modo, il gesto, l’attenzione personale, la delicatezza, la cortesia, la capacità di perdono, di pazienza, di accoglienza. Noi ci giochiamo su queste relazioni.

C.M. Martini

Vediamo dove c’è l’acqua che sgorga

In generale, chiamo principio della consolazione quella azione pastorale che non si preoccupa innanzitutto delle lacune o dei programmi, ma dei luoghi dove c’è la gioia dello Spirito. Spesso noi facciamo un programma pastorale partendo da come possiamo supplire a ciò che non abbiamo oppure da ciò che sarebbe da fare e come potremo farlo, ma molto meglio si partirebbe dicendo quali sono i punti di vera gioia evangelica in questa comunità perché partendo da lì, cioè dove certamente agisce lo Spirito e allargandoli come una piccola sorgente da cui tolgo le pietre intorno, l’acqua sgorgherà più abbondante.
Il principio della consolazione è molto importante. Spesso nei consigli pastorali dicevo: “Guardate, anch’io ho nel mio computer il programma “L”, cioè lamentazioni, e se l’apro posso riempire tutta la camera, ma ho anche il programma della gioia, dello Spirito Santo, della consolazione e quindi è meglio che usi questi programmi.

C.M. Martini

Un punto di partenza fondamentale: non chiederci innanzitutto cosa dovremmo essere, cosa dobbiamo fare, cosa manca, ma vedere da dove sta uscendo l’acqua. Quindi il lavoro da fare è piuttosto quello di togliere le pietre perché l’acqua possa uscire con più libertà e abbondanza.

Cominciamo ad ascoltare e vedere dove è quest’acqua che sgorga

Raccontarsi quello che si fa e riconoscere quello che si è mosso dentro ascoltando il racconto degli altri non è soltanto una tecnica di conoscenza e dialogo, ma dovrebbe essere un movimento interiore che porta a riconoscersi gli uni con gli altri, che poi è quello che permette di giocarsi nelle relazioni. Non si tratta di fare tutti la stessa cosa, ma di sviluppare un dinamismo di riconoscimento reciproco, chiave della possibilità di stare insieme, che non è né unificazione né frammentazione.

1. Strumenti di rilettura attraverso le “tensioni” di Papa Francesco
(Evangelii gaudium)

– Il tutto è superiore alla parte
– Realtà e idea
– Locale e globale
– Unità e conflitti

La potenza dei quattro principi in termini di discernimento di situazioni incerte e “grigie” deriva dal riferimento «a tensioni bipolari proprie di ogni realtà sociale». Non si tratta di scegliere tra i corni di un dilemma, ma di governare le forze contrapposte tipiche di ogni dinamica, anche sociale, che non è destinata a trovare una definitiva composizione nell’ordine della storia. I quattro principi servono così ad articolare anche la tensione tra pienezza e limite, o, in termini teologici, tra già e non ancora.

Il tutto è superiore alla parte

«Il modello di riferimento non vuole essere quello del centralismo che accorpa e sopprime le differenze, ma quello di un coordinamento che fa vivere le differenze e aiuta ad articolarle». (1)
Il tutto non sopprime le parti, il tutto è più delle parti.
Come la missione riesce a realizzarsi e attività diverse riescono a portare in un territorio un discorso condiviso? Certamente la fusione totale non è l’obiettivo.
Le parti e il tutto costituiscono una tensione non banale e molto forte da vivere, che richiede che ognuno stia in piedi da solo e poi si trovi come andare avanti insieme, ma l’esperienza mostra che in questa tensione si apre uno scenario con una potenza che va ben oltre quello che sarebbe stato per una singola parte.

Realtà e idea

Si tratta di un dinamismo fondamentale: la realtà è più importante delle idee, ma per andare avanti ci vogliono anche le idee.
Si parte dall’ascolto, non da principi astratti da applicare a una realtà, ma dopo l’ascolto occorre che ci sia qualcuno che si prende la responsabilità di avere delle idee e una visione e che sia riconosciuto da tutti. Occorrono degli input che potranno essere riconosciuti, dialogati, approfonditi ed emendati e in questo dialogo si procede davvero insieme. Importante è anche sapere cosa è possibile fare: gli obiettivi possibili sono diversi e dunque a ogni assemblea occorre porre un obiettivo che sia sostenibile.

Locale e globale

Attualmente nella Compagnia di Gesù è presente una forte dialettica tra la modalità di gestione della progettazione sul territorio e quella a livello nazionale dovuta all’allargamento del territorio della Provincia EUM insieme al venir meno delle figure di mediazione abituali. Le dinamiche di tensione tra i processi territoriali e nazionali probabilmente non si superano abolendo le tensioni concentrandole a livello nazionale o territoriale, ma cercando di articolarle in ogni territorio in modo diverso.

Unità e conflitti

È vero che l’obiettivo è l’unità, ma non si possono negare i conflitti. Il conflitto non deve essere per distruggere o rivendicare, ma per aiutarsi a capire ed entrare in posizioni che non sono le proprie in un modo tale che, ascoltandosi, si riesca a crescere in una vera unità.

2. Strumenti di prospettiva (2)

1. UN VOLTO DA CERCARE E UNO STILE CON CUI CAMMINARE (VISION )

«Non voglio disegnare in astratto un “nuovo umanesimo”, piuttosto l’umanesimo che parte guardando il volto di Gesù. Ḕ guardando questo volto che è simile anche a quello di tanti fratelli umiliati, resi schiavi e svuotati che dobbiamo partire».
Quindi, non un progetto globale da applicare, che è il rischio di una vision totalizzante che riduce le diversità e chiude le visioni, ma farsi interrogare e mettersi in una disposizione di cammino. La fonte della contemplazione ci aiuta a leggere la nostra realtà per vedere dove riconosciamo il volto di Gesù.

Dove nella nostra città riconosciamo l’acqua dello Spirito o il volto di Gesù sofferente?

Tre attitudini

Umiltà: non cercare il proprio privilegio e affermazione. Capacità di incarnarsi nelle situazioni più umili. Essere con i piedi per terra.

Disinteresse: «Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,4).

Beatitudine: è quella di chi conosce la ricchezza della solidarietà, del condividere anche il poco che si possiede; la ricchezza del sacrificio quotidiano di un lavoro, a volte duro e mal pagato, ma svolto per amore verso le persone care; e anche quella delle proprie miserie, che tuttavia, vissute con fiducia nella provvidenza e nella misericordia di Dio Padre, alimentano una grandezza umile.

Nelle beatitudini (e promessa di consolazione) il Signore ci indica il cammino. Percorrendolo noi esseri umani possiamo arrivare alla felicità più autenticamente umana e divina. La beatitudine è una scommessa laboriosa, fatta di rinunce, ascolto e apprendimento, i cui frutti si raccolgono nel tempo, regalandoci una pace incomparabile.

Umiltà, disinteresse, beatitudine: questi i tre tratti che voglio oggi presentare alla vostra meditazione sull’umanesimo cristiano che nasce dall’umanità del Figlio di Dio. E questi tratti dicono qualcosa anche alla Chiesa italiana che oggi si riunisce per camminare insieme in un esempio di sinodalità.
Questi tratti ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa.

Due tentazioni da sconfiggere:

– il pelagianesimo (fiducia nelle strutture)
«Il pelagianesimo ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte. La norma dà al pelagiano la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un orientamento preciso. In questo trova la sua forza, non nella leggerezza del soffio dello Spirito».

– lo gnosticismo (soggettivismo)
«Una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti»
Non condurre la Parola alla realtà, significa costruire sulla sabbia, rimanere nella pura idea e degenerare in intimismi che non danno frutto, che rendono sterile il suo dinamismo .

2. E QUINDI? – MISSION

Un sogno che attira e non schiaccia, in cui tutti si riconoscono.

Qual è il sogno che non è un’evasione dalla realtà ma è la capacità di orientare, di indicare la direzione di marcia, di spingere al cambiamento, di motivare in maniera concreta?

«Un sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole e che si fa progetto. Si tratta di cambiare rotta. una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà. L’umanesimo cristiano che siete chiamati a vivere afferma radicalmente la dignità di ogni persona come Figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria e l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura .»

Innovare in questo sogno che permette di costruire “un noi”, che con risorse diverse può portare a identificare ciò a cui si è chiamati in una situazione concreta.

Che cosa veramente sentiamo come una chiamata profonda?

• ALCUNI STRUMENTI FONDAMENTALI

Passaggio all’interiorità «Fermiamoci a contemplare la scena».

Confrontare il sogno con la Parola di Dio.

Di solito nella progettazione si fa l’analisi e poi si tirano le conseguenze, mentre il processo indicato da Papa Francesco comporta una grossa differenza perché si tratta di riconoscere il volto di Gesù confrontandosi nella propria interiorità con la Parola di Dio e questo porta a riconoscere non quello che dobbiamo fare, ma quello a cui il Signore ci sta chiamando.

A quale sogno il Signore ci chiama come comunità inserita nel contesto cittadino padovano?

In quali circostanze ci sentiamo chiamati e dove dobbiamo invece riconoscere delle dinamiche non vitali? Non si possono riconoscere senza un coinvolgimento dell’interiorità e l’ascolto personale e collettivo.

L’inclusione sociale dei poveri (ricerca del bene comune)

Per costruire un “noi” che includa veramente tutti.

Dialogo

«Vi raccomando anche, in maniera speciale, la capacità di dialogo e di incontro. Ricordatevi inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà

Senza paura di compiere l’esodo necessario ad ogni autentico dialogo. Altrimenti non è possibile comprendere le ragioni dell’altro, né capire fino in fondo che il fratello conta più delle posizioni che giudichiamo lontane dalle nostre pur autentiche certezze. È fratello».

Ma sapendo anche dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono all’interno del dibattito pubblico: è questa una delle forme del contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune.

La nazione non è un museo, ma è un’opera collettiva in permanente costruzione in cui sono da mettere in comune proprio le cose che differenziano, incluse le appartenenze politiche o religiose».

Affrontare i conflitti

Il dialogo è chiamato a farsi strumento di riconciliazione, che non può omettere la ricerca della verità.

«Verità è raccontare alle famiglie distrutte dal dolore quello che è successo ai loro parenti scomparsi. Verità è confessare che cosa è successo ai minori reclutati dagli operatori di violenza. Verità è riconoscere il dolore delle donne vittime di violenza e di abusi. […] Ogni violenza commessa contro un essere umano è una ferita nella carne dell’umanità; ogni morte violenta ci “diminuisce” come persone».

«Quando i conflitti non si risolvono ma si nascondono o si seppelliscono nel passato, ci sono silenzi che possono significare il rendersi complici di gravi errori e peccati. Invece la vera riconciliazione non rifugge dal conflitto, bensì si ottiene nel conflitto, superandolo attraverso il dialogo e la trattativa trasparente, sincera e paziente».

«Indispensabile per costruire l’amicizia sociale: l’unità è superiore al conflitto. […] Non significa puntare al sincretismo, né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risoluzione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto».

• DUE RUOLI PARTICOLARI

Leadership: «Ai vescovi chiedo di essere pastori. Niente di più: pastori. Sia questa la vostra gioia: “Sono pastore” In grado di trasmettere fiducia. Sono sicuro della vostra capacità di mettervi in movimento creativo per concretizzare questo studio».

Giovani protagonisti: «Faccio appello soprattutto a voi, giovani, perché siete forti».

3. CRITERI E PIANIFICAZIONE STRATEGICA (3)

«Sebbene non tocchi a me dire come realizzare oggi questo sogno, permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni, specialmente sulle tre o quattro priorità che avrete individuato in questo convegno».
Dunque, un processo che parte dall’universale per andare ad una pianificazione, ma che non impone un obiettivo schiacciante o una visione totalizzante e non dice cosa fare, ma attraverso uno stile costruisce dei percorsi in cui arrivare ad una decisione. In questo percorso c’è chi ha dei ruoli particolari (leadership), chi ha una capacità di vedere senza la quale è difficile andare avanti (i giovani) e insieme, con un processo sinodale, si individuano le priorità come cammino da proseguire.

 

DESBORDE (4)

«Grazie dei vostri interventi, ma ho pregato, e poi ho capito che rattoppando le cose non risolveremo mai il problema dell’Amazzonia. Ci sono conflitti che non possono essere risolti non con la disciplina e aggiustando le cose, ma solo con il desborde, la sovrabbondanza il traboccamento. E credo che questo sia uno dei conflitti da risolvere con il desborde. Cioè per eccesso. Dio ha risolto il conflitto del peccato in questo modo».

Di questo c’è traccia nell’esortazione apostolica post sinodale Querida Amazonia:

«Le autentiche soluzioni non si raggiungono mai annacquando l’audacia, sottraendosi alle esigenze concrete o cercando colpe esterne. Al contrario, la via d’uscita si trova per “traboccamento”, trascendendo la dialettica che limita la visione per poter riconoscere così un dono più grande che Dio sta offrendo. Da questo nuovo dono, accolto con coraggio e generosità, da questo dono inatteso che risveglia una nuova e maggiore creatività, scaturiranno, come da una fonte generosa, le risposte che la dialettica non ci lasciava vedere» (n. 105).

Ci sono conflitti che non possono essere risolti con la diplomazia, ma solo per via di sovrabbondanza e traboccamento, o desborde, secondo il suggestivo originale spagnolo: un modo di porsi che lascia da parte il calcolo e il compromesso e non teme di tentare soluzioni nuove e radicali.
Non soltanto cercare strategie e aggiustamenti di tensioni, ma c’è una gratuità che apre una generosità che richiede di essere compresa e condivisa, ma anche discreta, che apre un cammino in cui ognuno abbandona la sua bandiera per cercare qual è il bene a cui il Signore ci sta chiamando.

Che cos’è per noi il desborde che siamo chiamati a dare?

 

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Padre Giacomo Costa è il Direttore della rivista Aggiornamenti sociali e Superiore del polo di Milano (comunità e opere SJ). Accompagna realtà sociali ed ecclesiali nell’articolare il loro carisma e ispirazione con una concreta modalità organizzativa. Ha accompagnato gli ultimi Sinodi della Chiesa, in particolare è stato Segretario speciale del Sinodo dei giovani nel 2018 e Segretario per la comunicazione del Sinodo dell’Amazzonia nel 2019. Attualmente sta accompagnando la preparazione del Sinodo che si terrà nel 2023 sul tema della sinodalità.

A Padova ha da poco concluso la sua collaborazione nel comitato scientifico della Fondazione Lanza. Ha collaborato con Marco Cagol, vicario episcopale per la pastorale sociale.

 


Note:

1  P. Gianfranco Matarazzo in occasione della creazione del polo milanese della provincia EUM.

2  Discorso di Papa Francesco al Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze, novembre 2015.

3  Discorso di Papa Francesco al Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze, novembre 2015.

4  Intervento di Papa Francesco al Sinodo dell’Amazzonia.